giovedì 4 novembre 2010

Pellegrino Artusi, Padre della cucina regionale italiana figlio di una terra che sa valorizzare il cibo


Quando vi mise mano, verso la fine dell'Ottocento, Pellegrino Artusi non pensava certo che il suo "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" si sarebbe imposto nei secoli come uno dei massimi prodotti della società italiana del secondo Ottocento (è stato tradotta in 5 lingue) assieme al Libro Cuore e a Pinocchio. Un'opera che ha rappresentato invece il primo, riuscito, tentativo di codifica della cucina regionale italiana; che ha elevato a valore letterario l'arte culinaria, dando dignità a un mosaico di tradizioni locali e grazie al quale un numero considerevole di italiani si trovarono uniti a tavola, mangiando gli stessi piatti e gustando le stesse vivande.

Nato a Forlimpopoli (Forlì-Cesena) nel 1820 e morto a Firenze nel 1911, Artusi, favorito da una professione che gli aveva consentito di viaggiare per tutta l'Italia raccogliendone le ricette (aiutava il padre droghiere nel commercio delle spezie), e coadiuvato dai due fedeli servitori (Marietta e Francesco) nel "testare" le ricette raccolte, propone ne "La Scienza", pubblicata in 1000 copie nel 1891, a sue spese, 475 piatti, accompagnati da aneddoti e riflessioni. All'inizio fu un flop: due copie dell'opera, spedite a Forlimpopoli da Artusi (che nel frattempo si era trasferito a Firenze) su richiesta di un amico, come premi in palio in una lotteria di beneficenza, erano stati rivendute a un tabaccaio da coloro che se le erano aggiudicate, non sapendo che farsene.

Ma poi fu il successo: in 20 anni 14 edizioni, poi 32 tradotte in tedesco, inglese, olandese. Artusi abbina cultura a tradizione, storia a leggenda, in una prosa che riporta ai discorsi conviviali e alla cordialità romagnola. Dal punto di vista prettamente gastronomico va sottolineato che, da buon romagnolo trapiantato in terra fiorentina qual è, Artusi realizza con il suo libro una perfetta mediazione tra due culture culinarie principali: quella romagnolo-bolognese e quella toscano-fiorentina. Su questi due assi l'autore inserisce le altre derivate regionali, formando un corpus che, rappresentando la cucina italiana destinata al gusto comune, crescerà di edizione in edizione dalle iniziali 475 ricette, fino a catalogarne ben 790 nella 13a edizione, datata 1909. Già dalla prima pubblicazione è contemplato ogni genere di pietanza, dalle minestre alle salse, dai fritti a "siroppi" e conserve, e non manca un paragrafo dedicato alle "cose diverse" (caffè, olive in salamoia, mandorle tostate, pesche nello spirito, etc.), un paragrafo in appendice dedicato alla "cucina per stomachi deboli" e persino un menù dei mesi, con le pietanze consigliate da gennaio a dicembre. La casa che gli ha dato i natali è diventata un centro di cultura enogastronomica, che si trova all'interno dell'isolato della Chiesa dei Servi, nel centro storico di Forlimpopoli.

Inaugurata nel giugno 2007, oggi "Casa Artusi" (www.casartusi.it) è sede di corsi di divulgazione, convegni e altri momenti d'approfondimento culturale sui temi della gastronomia. Grazie alla sua moderna struttura di 2.000 mq. che ospita la Biblioteca Pellegrino Artusi, il ristorante, la scuola di cucina e lo spazio eventi, Casa Artusi si propone anche come luogo di sperimentazione culinaria, come dinamico laboratorio in cui provare piatti tipici e ricette delle varie località italiane.

Al padre della cucina italiana è anche dedicato un evento, La Festa Artusiana, che si celebra a Forlimpopoli dal 1997 ogni anno dal penultimo sabato di giugno per nove giorni consecutivi e coinvolge migliaia di amanti della buona tavola. Forlimpopoli diventa così capitale del cibo, punto di riferimento per golosi e studiosi di gastronomia. Previste serate di festa tra convegni, spettacoli, concerti all'aperto, degustazioni, itinerari gastronomici, mercatini di prodotti tipici. Ospiti d'onore i vincitori dei Premi Artusi, assegnati di anno in anno ad un grande cuoco di fama internazionale e ad un personaggio impegnato a combattere la povertà e la fame nel mondo.

"Il troppo salato
è il peggior
difetto delle
vivande"

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