Nel museo Calouste Gulbenkian di Lisbona c'è una mostra di gioielli fantasiosi e splendenti come gocce di rugiada in una valle popolata dalle fate. Ogni oggetto, che combina magistralmente arte e fantasia nello stile dell'Art Nouveau, o Liberty, è opera di Renè Lalique, nato in Francia nel 1860 e considerato, a fine secolo, il maggiore artista nel campo della gioielleria. la creatività di Lalique va oltre i materiali preziosi e il genio dell'orefice. Non sono solo infatti solo le pietre preziose a dare valore ai suoi gioielli, spesso non le usava nemmeno. Utilizzava insieme invece vari materiali tra cui corno, avorio, oro, smalto, perle, agate e vetro, sul quale in seguito concentrò la sua maestria, per ritrarre temi della natura, sublimata dalla sua
Pensati come ornamento in un'epoca nella quale la moda femminile esaltava il seno generoso e la vita di vespa, i suoi gioielli sono di tale bellezza che trascendono il gusto del momento e il capriccio femminile.
Tra le schiere di entusiastici ammiratori, l' attrice Sarah Bernhardt, per la quale Lalique creò straordinari gioielli assecondandone la stravagante personalità.
Pare sia stata proprio la Bernhardt a presentare Lalique al finanziere Calouste Sarkis Gulbenkian che ne collezionò le opere, più di 150 pezzi, in gran parte classici gioielli Liberty, dal 1900 al 1903. In apparenza c'era ben poco che i due uomini avessero in comune, il francese artista artigiano dalla fervida immaginazione e il turco Gulbenkian nato a Istanbul e laureato in ingegneria e scienze applicate, eppure strinsero un'amicizia che durò fino alla morte di Lalique, nel 1945. Condividevano il profondo amore per la natura, e Gulbenkian ammirava la magistrale tecnica di Lalique. Nel 1969 venne aperto un museo a nome di Gulbenkian, dotato di fondi della filantropica fondazione che il turco aveva costituito prima di morire. Lalique, volgendo la sua arte al vetro, smise di creare sontuosi e stilizzati gioielli nel 1914. Per questo la collezione che supera tutte le altre per qualità e quantità, rimase senza uguali.
Marion Kaplan
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